**La scarsa informazione***


ULTIME SULLA MARIJUANA: NON NUOCE ALLA SALUTE

Secondo i dati scientifici la cannabis non produrrebbe conseguenze negative sull’organismo La scarsa informazione circa gli effetti degli stupefacenti ha portato in Italia all’adozione di politiche proibizioniste che non sono in linea con le direttive europee.

di Gilberto Corbellini

Quando una rivista medica di prestigio internazionale come «Lancet» pubblica uno studio riassuntivo su una qualsiasi pratica clinica o ipotesi medica, il giudizio espresso diventa quasi un dogma per i medici e per chi progetta la politica sanitaria. Orbene, il pregiudizio proibizionistico deve avere una forte presa psicologica se non ha mai avuto seguito la conclusione a cui arrivava un famoso studio basato su trent’anni di sperimentazioni e pubblicato appunto su «Lancet» nel 1995 per cui «fumare cannabis, anche a lungo, non è dannoso per la salute».A dicembre dello scorso anno, comunque, il Parlamento europeo ha votato una relazione sulla strategia 2005-2012 dell’Unione europea in materia di droghe, che chiede al Consiglio di non approvare il nuovo piano senza prima conoscere i risultati delle valutazioni delle politiche precedenti in termini di efficacia e di costi/benefici. Invita cioè a basare le politiche contro il consumo delle droghe su dati e valutazioni scientifici, dando la priorità alla salute delle persone che fanno uso di sostanze illecite, e promuovendo misure alternative al carcere per i consumatori. Propone inoltre di realizzare studi scientifici sulle potenzialità terapeutiche della cannabis, sulla distribuzione sotto controllo medico di eroina a scopi terapeutici e sui costi, in generale, delle politiche proibizioniste. Quella assunta dalla maggioranza del Parlamento europeo è una posizione ormai condivisa da tutti gli esperti, e che tiene conto di centinaia di analisi e rapporti.I fatti che giustificano questa posizione sono esposti con mirabile chiarezza nel libro di Zimmer e Morgan, finalmente disponibile anche in italiano, aggiornato dall’introduzione di Franco Corleone e da un saggio conclusivo di Grazia Zuffa. Tra i miti che vengono confutati vi è la tesi del fallimento dell’esperienza olandese. Tesi tornata alla ribalta perché gli olandesi si sono stancati di essere considerati nell’immaginario internazionale un «paradiso del fumo», e stanno pensando di impedire la vendita di droghe leggere agli stranieri nei 'coffeeshop'. In realtà, la politica e la legislazione olandese non punitiva non ha prodotto un aumento del consumo di cannabis, mentre mantiene ai livelli più bassi del mondo il consumo di droghe pesanti. Come al solito, l’Italia va in controtendenza. Il Parlamento sta per varare una legge sulla droga non meno antiscientifica e foriera di conseguenze dannose per i cittadini della legge sulla fecondazione assistita. Una legge che criminalizza milioni di persone, soprattutto ragazzi che ingenuamente pensano di socializzare meglio fumando un innocuo spinello. E che, al di là delle intenzioni, andrà a vantaggio dei narcotrafficanti, che vedranno incrementare i loro margini di guadagno. Mentre la società e le famiglie soffriranno la perdita nei labirinti della devianza di un gran numero di giovani, per i quali il contatto con le droghe leggere è nella stragrande maggioranza dei casi un’esperienza occasionale, che non produce alcun danno né li indirizza verso le droghe pesanti. Tutti i genitori davvero preoccupati per il rischio che i loro figli si perdano nel tunnel della droga, dovrebbero riflettere.Anche la storia può aiutare a capire il problema dell’abuso di droghe, contestualizzandolo culturalmente e antropologicamente. Il recente libro del farmacologo Paolo Nencini, come scrive Giorgio Bignami nella sua lucida e impegnata introduzione, cerca di rispondere alla questione «se sia vera o falsa la tesi di una sostanziale invarianza storica dei fenomeni di tossicodipendenza, in particolare di quelli relativi all’oppio e ai suoi derivati». Usando in modo efficace le sue conoscenze scientifiche — l’autore è un esperto farmacologo e tossicologo — e basandosi su dati archeologici, sull’esame diretto e indiretto di una vastissima letteratura e iconografia di interesse medico, religioso o di costume, Nencini ricostruisce la diffusione e l’uso materiale del papavero da oppio nell’antichità, descrivendone altresì le valenze simboliche e rituali. Ma soprattutto, egli intende applicare la lezione dello storico della medicina Mirko Grmek, il quale ha mostrato che il quadro nosografico in un dato momento storico, o 'patocenosi', dipende dal contesto ecologico, e cambia secondo dinamiche funzionali in rapporto al mutare della condizioni ambientali (fisiche, biologiche, sociali, economiche, politiche, eccetera).Nencini dimostra che nell’antica cultura greco-romana gli effetti psicofarmacologici dell’oppio trovarono applicazioni mediche e religiose molto circoscritte. Ma, soprattutto, non erano favoriti, o venivano ostacolati gli effetti gratificanti. Ciò in quanto gli effetti sedativi e i rischi di intossicazione associati alla sua utilizzazione risultavano disadattativi rispetto alle predisposizioni comportamentali, ovvero in relazione al contesto ecologico-sociale. La dimostrazione del tutto convincente che il consumo di derivati del papavero da oppio rimanesse al di fuori di un uso voluttuario nel mondo antico, che privilegiava per scopi edonici soprattutto il vino/alcol con i suoi effetti socializzanti, presenta per l’autore delle implicazioni generali anche dal punto di vista del modo di guardare alle tossicodipendenze oggi.Intanto conferma quello che gli approcci epidemiologici e un’impostazione biologica non piattamente riduzionistica, ma evolutiva, suggeriscono: ovvero che il contesto ricreativo d’uso è determinante nell’eziologia della tossicodipendenza. Inoltre, spiega perché l’uso/abuso di eroina rimane comunque epidemiologicamente marginale rispetto all’alcol, ma anche alla cocaina o alla cannabis, nonostante le pressioni dell’offerta. Sostenendo che l’eroina è in qualche modo estranea alla mentalità occidentale, Nencini suggerisce un importante punto di partenza anche per ripensare le ragioni dei fallimenti e dei disastri sinora prodotti dalle politiche paternalistiche e proibizionistiche di lotta alle tossicodipendenze.

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